Se in Lekh lekhà Hashem mette alla prova Abramo con prove graduali e impegnative, nella parashà di questa settimana, egli si troverà ad affrontare lo scoglio più duro.
I nostri Maestri sostengono che la prima e l’ultima delle dieci prove cui viene sottoposto Avraham iniziano entrambe con l’ingiunzione lekh lekhà (lett. “va per il tuo bene”).
Nella prima Hashem richiede ad Avraham di rinunciare al proprio passato; con la seconda, il Signore gli chiede di rinunciare a suo figlio, quindi alla sua discendenza – al suo futuro.
Siamo abituati a sentire, non sempre in ambiente ebraico, chiamare quel brano della parashà settimanale, con il nome di Sacrificio di Isacco, ma mai con la sua reale definizione “’aqedat Izchaq – legatura di Isacco”. Non si tratta, infatti, di un sacrificio, ma di una legatura con cui culmina il racconto in questione; in tutto il brano non si parla mai e poi mai di morte o di uccisione ma di un’espressione «[…] ve ha’alehu sham le ‘olà ‘al achat he harim» – «[…] fallo salire per me una salita su uno dei monti» (Bereshìt 22; 2)
Questa interpretazione viene data dal Rav Kuk, uno dei rabbini più moderni della tradizione ebraica.
Rav Kuk sostiene che l’intento divino sia quello di dare sia ad Abramo che a Isacco una regola di dignità ebraica e cioè di insegnare loro che persino davanti alle cose dolorose, bisogna reagire con dignità, per essere da esempio presso altri popoli, che dopo sciagure e disgrazie si auto annullano, arrivando così al proprio annientamento.
Molti altri sostengono invece che questo sia un messaggio al mondo dell’epoca, una società pagana che viveva sulla prevalenza del forte sul debole e del potente su chi era inerme, che la volontà divina sia quella di voler la vita di ogni uomo, considerato particolarmente caro a D-o, poiché ne rispecchia la propria immagine.
Il sacrificio-non sacrificio di Isacco è il simbolo del monoteismo in assoluto e di un D-o che non vuole la morte delle Sue creature, ma il loro bene.
Racconta un midrash che nel momento in cui D-o dice ad Abramo di non offrire suo figlio in sacrificio, Abramo si adira contro di Lui, chiedendogli di completare la mitzwà che gli era stata chiesta; il Signore allora gli manda un capro che verrà offerto in sacrificio al posto di Isacco, che nel corso della storia simboleggerà la vittoria del bene e dell’amore su ogni altra cosa.
Quello stesso montone con il cui corno, il giorno di Rosh ha shanà, suonandolo, ricordiamo all’Eterno la ‘aqedat Izchaq, e attraverso l’amore che Egli ha nutrito per i Patriarchi, possa salvare il nostro popolo e salvarci dalle nostre cattive azioni.
Shabbat shalom,
Rav Alberto Sermoneta
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