-Shabbbat VII°di Pesach-

Venezia Ebraica - Jewish Venice
- A cura di Rav Alberto Sermoneta -

                                      Shabbat VII° di Pesach
YOM HA-EMUNÀ

 

Lo Shabbat che precede la festività di Pèsach è tradizionalmente denominato Shabbat ha-Gadol, “il grande Shabbat”. Secondo la tradizione rabbinica, tale appellativo si riferisce a un grande miracolo che ebbe luogo in quella data: gli Israeliti, ancora schiavi in Egitto, furono istruiti da Dio a prelevare un agnello – considerato una divinità dagli Egiziani – e a tenerlo in casa in vista del sacrificio pasquale. Questo atto, di forte valenza simbolica e religiosa, rappresentò non solo un gesto di ringraziamento verso Dio, ma anche una dimostrazione di coraggio e fedeltà. Era infatti un gesto provocatorio nei confronti della religione egiziana, che esponeva il popolo ebraico al rischio di rappresaglie. Tuttavia, proprio attraverso tale prova si manifestava la loro determinazione nel mantenere la propria identità e nell’aderire senza timore alla volontà divina. Secondo questa interpretazione, lo Shabbat ha-Gadol segnò un momento decisivo di maturazione collettiva, in cui il popolo dimostrò di essere moralmente e spiritualmente pronto alla redenzione.

Il settimo giorno di Pèsach, che ricorre il 21 di Nissan, è associato a un altro momento cruciale del percorso di liberazione: il passaggio del Mar Rosso. In questo giorno si legge la Shirat ha-Yam, il Canto del Mare, espressione liturgica e poetica dell’esultanza e della riconoscenza del popolo per la salvezza ottenuta. I Maestri della tradizione rabbinica definiscono questo giorno Yom ha-Emunà, “il giorno della fede”, a partire dal versetto in Esodo 14,31: «E gli Israeliti credettero nel Signore e in Mosè, suo servo». Questo atto di fede immediatamente precede l’evento profetico del canto, suggerendo, secondo l’insegnamento rabbinico, che la fede autentica costituisca un presupposto necessario per la rivelazione profetica.

La fede, in questo contesto, non è intesa come un’adesione irrazionale, ma come una fiducia profonda che si manifesta anche nei momenti di oscurità e incertezza. Come recita il Salmo 92,3: «Per proclamare al mattino la Tua bontà, e la Tua fedeltà nelle notti», l’atto di credere è particolarmente significativo durante le “notti” dell’anima – ovvero nei momenti più difficili, quando la luce della comprensione razionale viene meno.

La data del 21 di Nissan non è casuale: è infatti il giorno in cui, secondo la tradizione, avvenne l’effettivo attraversamento del Mar Rosso. Quel giorno rappresenta non solo la liberazione fisica del popolo, ma anche la nascita della sua coscienza spirituale, fondata sulla fede. È il compimento della promessa che Dio aveva fatto a Mosè al roveto ardente, quando gli annunciò che il popolo avrebbe creduto sia in Lui che nel suo emissario.

Il versetto conclusivo del capitolo 14 dell’Esodo – «E credettero nel Signore e in Mosè, suo servo» – introduce la Shirà e rivela un principio fondamentale: alla base di una fede collettiva duratura vi è non solo la fiducia in Dio, ma anche quella in se stessi e nei propri leader. La guida spirituale, rappresentata da Mosè, diventa elemento indispensabile per il consolidamento di un’identità nazionale e religiosa. L’assenza di tale fiducia mina le fondamenta stesse della vita collettiva, impedendo la formazione di un popolo unito e degno del nome che gli è stato attribuito: ‘Am Yisrael, il popolo d’Israele.


 

Shabbat shalom e Pesach kasher ve sameach
Rav Alberto Sermoneta

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