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parashat reè

A cura di Venezia Ebraica - Jewish Venice

«Reé Anokhì noten lifnekhem ha iom berakhà uqlalà. Et ha berakhà asher tishme’ù et mitzwot A’ Elo-hekhem asher Anokhì noten lifnekhem ha iom. Ve ha qelalà in lo tishme’ù et mitzwot A ‘Elo-hekhem[…]».
«Guarda oggi Io pongo dinnanzi a voi la benedizione e la maledizione. La benedizione per osservare le mitzwot del Signore vostro Dio che vi comando oggi. La maledizione se non ascolterete le mitzwot del Signore vostro Dio[…]» (Devarim 11;26).
 
Moshè torna a ripetere nuovamente le parole di Dio che comanda le mitzwot al Suo popolo. In tutta la Torà noi leggiamo dei  verbi particolari  che riguardano la shemirat mitzwot; essi sono: La ‘asot – fare; lishmo’a – ascoltare; reé – vedere; lishmor – osservare.
Alle pendici del Monte Sinai, in prossimità del mattan Torà, il popolo pronunciò la fatidica frase: “na’asé venishma’ – faremo e ascolteremo” (Shemot 24;7). 
Fu una grande prova di fede nel Signore, poiché con essa antecedeva la volontà di eseguire, ancor prima di ascoltare l’ordine.
Se facciamo caso invece alle parole con cui inizia la “professione di fede” del nostro popolo, leggiamo: “shemà Israel – ascolta Israele” (Devarim 6;4).
Si chiedono i Chakhamim il motivo per cui all’improvviso decade il verbo “la’asot – fare“.
C’è un episodio, tra i più negativi di tutta la Torà che è conosciuto come “ma’asé ha ‘eghel – il fatto del vitello“.
 
In poche parole si tratta dell’episodio del vitello d’oro. L’espressione “ma’asé” indica l’azione.
 
Moshè, resosi conto che, per mettere in pratica qualcosa di concreto il popolo non era in grado (poiché sbaglia immediatamente), comanda loro solo di ascoltare e di non fare niente prima di aver capito bene cosa fare.
 
Ogni ebreo, all’interno di una società ha delle idee che vorrebbe si mettessero subito in pratica facendole prevalere su quelle altrui. Ne nasce una competizione fra fratelli, i quali tendono a comportarsi così per emergere rispetto agli altri,  portando a fratture irreparabili all’interno della nostra società, del nostro popolo, delle nostre Comunità. Per trovare l’unità di popolo, c’è sempre bisogno di una sola guida, che non dà imposizioni ma organizza la  vita sociale.
La parashà di Reé viene sempre letta lo Shabbat che precede il capo mese di Elul, ultimo mese dell’anno ebraico.
 
Durante tutta la sua durata, dobbiamo fare una sorta di preparazione al giorno di Rosh hashanà che è chiamato yom ha-din – giorno del giudizio, in cui immaginiamo che il Signore faccia un serio esame del nostro comportamento. Il mese di Elul è considerato il periodo in cui ha Melekh ba saddé – il Re scende nel campo“. Quando un re esce dal suo palazzo per incontrare i suoi sudditi, questi si preparano per chiedere a lui tutte le loro necessità, ma dall’altro lato il re controlla come loro si comportano, soprattutto prendendo in considerazione il rendimento delle loro opere.
Cosa dobbiamo mostrare noi al nostro Re che scende in mezzo al nostro popolo, se non l’osservanza delle mitzwot e le opere di bene?
 
Sicuramente non dobbiamo farci vedere arrivisti, arroganti e litigiosi! Egli vuole che noi formassimo una “agudà achat – unico gruppo” . Cerchiamo quindi di riflettere sul nostro comportamento riguardo questo momento particolare dell’anno.
 
Kippur, che segna la conclusione di questo lungo periodo, non ha valore se prima non ci siamo resi conto di ciò che abbiamo sbagliato,  verso il nostro prossimo e verso Dio.
Chiedere perdono a Dio non serve se prima non ci siamo riconciliati con i nostri fratelli!
Il kelal Israel – la congregazione di Israele, considerata sacra, non sta nel mostrare la nostra bravura, quanto nel vivere aiutando chi ha più bisogno di noi, collaborando per il bene di tutti.
L’espressione rabbinica “agudà achat” vuole esprimere quindi la collaborazione di uno per l’altro senza competitività, per il bene di tutti.
 
Soltanto quando riusciremo a comprendere ciò e ad attuarlo, potremo avvicinarsi al Re in mezzo al campo, con dignità e responsabilità di popolo.
 

Rav Alberto Sermoneta 

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