Shabbat times
  • Candles lighting
    16:38
  • Three Stars for the end of Shabbat in Jewish Venice
    17:48
  • Torah Scroll
    Shabbat Shemot
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- Parashat BEHAALOTEKHÀ -

Venezia Ebraica - Jewish Venice
- A cura di Rav Alberto Sermoneta -

Questo Shabbat leggeremo nella parashà settimanale una serie di avvenimenti di importanza differente.

Si comincia con la mizvà del Cohen gadol di preparare la menorà alla sua accensione di tutti i giorni, continuando con quella della consacrazione dei Leviti, di Pesach shenì (l’opportunità di offrire il sacrificio pasquale un mese dopo Pesach per coloro che nella data destinata si trovavano in condizioni inadeguate all’offerta); torviamo poi le istruzioni e i preparativi da mettere in atto in guerra e della mizvà di suonare le trombe d’argento, insieme allo shofar per richiamare il popolo all’attenzione (sia di cose buone che meno buone).

Assistiamo, tuttavia, ad uno strano episodio a cui solitamente si attribuisce poca importanza; esso consiste nel fatto che due uomini del popolo – Eldad e Medad – iniziano a fare pratica di profeti in mezzo all’accampamento. Giosuè, impressionato dall’atteggiamento dei due, corre da Mosè a riferirgli ciò che sta accadendo chiedendogli di farli arrestare.
Mosè invece reagisce in modo inaspettato, con una risposta sbalorditiva. Egli, infatti, non solo rimane impassibile, ma quasi rimprovera Giosuè di essere troppo geloso per lui. Egli continua la sua risposta da grande uomo saggio, dicendo: «Magari tutto il popolo di D-o profetizzasse!!! Perché il Signore ha posto in ognuno di loro il Suo spirito» (Bamidbar 11; 29).
La circostanza è piuttosto insolita, sia per il fatto che nessuno, fino a questo momento conosce questi due uomini, sia perché non sappiamo nemmeno riguardo cosa stessero profetizzando.
Bisogna quindi interrogarsi sul senso profondo dei termini profeta e profezia.
Il navì – il profeta è colui che riporta la parola di D-o; il termine “navì” da cui deriva nevuà, profezia, è una forma passiva del verbo lavò – “venire”, quindi “riportare”.
Il profeta nella tradizione ebraica non è colui che predice il futuro, bensì colui che insegna la Torà e, attraverso l’osservanza delle regole o la sua trasgressione da parte del popolo, prospetta loro un futuro, prospero o tragico.
Tutte le mattine, appena apriamo i nostri occhi, dopo il sonno notturno, abbiamo il dovere di recitare una formula di ringraziamento al Signore, per averci ridato l’anima che appartiene a Lui e che noi custodiamo nel nostro corpo per tutta la giornata.
Quell’anima è “PURA” perché appartiene a D-o ed è per questo che ogni uomo ha anche un po’ di spirito profetico.
Magari, volesse il Cielo che ogni uomo usasse la sua anima per fare del bene al prossimo, senza danneggiarlo; ci troveremmo tutti nella condizione di benefattori come furono Eldad e Medad.

Shabbat shalom

Rav Alberto Sermoneta

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