-Shabbat Sheminì-
Venezia Ebraica - Jewish Venice
- A cura di Rav Alberto Sermoneta -
Parashat Sheminì
Nella parashà che leggeremo questo Shabbat, la Torà narra gli eventi dell’ottavo giorno dell’inaugurazione del Mishkàn, culmine di una serie di preparativi che hanno incluso la costruzione del Tabernacolo, la confezione degli abiti sacerdotali e la realizzazione degli strumenti destinati al culto sacrificale, il tutto regolamentato in ogni dettaglio.
L’ottavo giorno (Sheminì) citato nella parashà rappresenta la fase conclusiva della cerimonia di Chanukkat ha-Mizbeach (dedicazione dell’altare), durata dodici giorni, corrispondenti al numero delle tribù di Israele, ognuna delle quali, a turno, ha offerto un sacrificio. Secondo l’insegnamento dei Maestri d’Israele, proprio in questo ottavo giorno – come promesso sin dalla parashà di Terumà – si manifesta la Shekhinà, la Presenza Divina, che discende dal cielo per posarsi sul Mishkàn. A tal proposito, la Torà afferma:
«Un fuoco uscì dalla presenza del Signore e consumò sull’altare l’olocausto e i grassi. Tutto il popolo vide, esultò e si prostrò con il volto a terra» (Vaikrà 9,24).
Ciò che emerge da questo versetto è un principio teologico centrale dell’ebraismo: non è l’uomo ad ascendere al Divino, ma è Dio stesso a scendere verso l’uomo. Una concezione teologica che, ancora oggi, risulta difficile da accogliere per molte confessioni religiose estranee alla tradizione ebraica.
Questo momento segna non solo l’inizio operativo del Mishkàn, ma soprattutto l’instaurarsi di una relazione costante tra il popolo e la Presenza Divina. Gli esegeti colgono un parallelismo significativo tra l’espressione con cui si apre la parashà, “Vayehi bayom ha-sheminì” (“E fu all’ottavo giorno”), e il versetto inaugurale della creazione, “Vayehi erev vayehi boker yom echad” (“E fu sera e fu mattina, un giorno”). Come Dio prende parte attiva nella creazione del mondo, così sceglie volontariamente di manifestarsi nel Mishkàn.
Esiste, quindi, un nesso profondo tra Cielo, Terra e Mishkàn: così come Cielo e Terra sono i testimoni eterni dell’opera della Creazione, il Mishkàn rappresenta la testimonianza tangibile della presenza di Dio nel mondo e dell’alleanza indissolubile tra Dio, la Torà e il popolo d’Israele.
Questo Shabbat, il primo dopo la festività di Pesach, inizieremo la lettura settimanale del trattato mishnico “Pirkè Avot” (Massime dei Padri), che proseguirà per sei settimane, fino alla vigilia di Shavu’ot. Si tratta di un trattato composto da cinque capitoli canonici – più un sesto aggiunto successivamente, noto come Avot de-Rabbi Natan – contenente insegnamenti etici, massime e detti attribuiti ai Maestri delle generazioni tannaitiche.
Il primo capitolo, che leggeremo proprio questo Shabbat, include al suo interno la seguente mishnà (1:4):
«Jose ben Joezer di Zeredà e Jose ben Jochanan di Gerusalemme ricevettero la tradizione dai loro predecessori. Jose ben Joezer diceva: “La tua casa sia un luogo di ritrovo per i sapienti; copriti della polvere dei loro piedi e bevi le loro parole con sete.”»
Questa mishnà sottolinea l’importanza del rispetto verso i Maestri – un concetto che più avanti verrà esteso anche a chi ci ha insegnato una sola lettera – e incoraggia un atteggiamento di umiltà e dedizione nei confronti sia del loro esempio personale, sia del loro insegnamento. Ogni parola e ogni gesto del Maestro può rappresentare una fonte preziosa di crescita culturale e spirituale.
Forse oggi, più che mai, sarebbe necessario riscoprire e riaffermare questi valori fondamentali, in un tempo in cui spesso si è smarrita la percezione del rispetto dovuto a chi ha accumulato esperienza, conoscenza e dedizione al servizio degli altri e della tradizione.
Shabbat Shalom e Chodesh Tov,
Rav Alberto Sermoneta