Parashat Balaq

Balaq

- Parashat BALAQ -

Venezia Ebraica - Jewish Venice
- A cura di Rav Alberto Sermoneta -

Balaq, re di Moav, impaurito dai recenti successi militari degli Israeliti, fa convocare Bil’am, famoso e temuto profeta – stregone, per maledire il popolo di Israele.

Dal racconto biblico sappiamo che nulla poté contro Israele, poiché popolo costantemente protetto dal Signore Iddio: «[…] lo taor et ha am ki barukh hu» – «[…] non maledirai il popolo perché esso è benedetto» (Bamidbar 22;12); su tutto ciò che è benedetto a priori, la maledizione non ha effetto.

Ci troviamo qui davanti a due personaggi temutissimi dell’epoca: Mosè, profeta del popolo ebraico e suo Maestro e Bil’am, profeta del culto pagano e suo stregone.

Quali sono le sostanziali differenze fra i due personaggi?

La concezione di profetismo in mezzo al popolo ebraico è assai differente rispetto all’immaginario comune, sia nel passato che in epoca recente. Mosè era l’uomo di D-o che si rivolgeva al popolo per bocca sua e quindi, aveva il compito di esplicare al popolo gli insegnamenti divini. Egli – il profeta di Israele, non interpretava presagi, ma si limitava a rivelare al popolo le conseguenze, in termini di benedizioni e maledizioni future, dell’osservanza delle mitzvot. Mosè, nonostante il suo importante incarico, era considerato un uomo a tutti gli effetti, senza super poteri, soprattutto per il suo modo di porsi: «e l’uomo Mosè era molto umile fra tutti gli uomini della terra» (Bamidbar 12;3).

Per Bil’am non era così, egli godeva di rispetto più per una condizione di timore, che per reale valore; era celebre per le sue espressioni, in particolar modo per le maledizioni che rivolgeva, dietro pagamento; nella parashà troviamo, infatti: «….poichè ti onorerò moltissimo…. Se distruggerai attraverso i tuoi vaticini questo popolo» (Bamidbar 22; 17). Un uomo del suo calibro, benché temuto, non può andare lontano, non può fare molta strada contro il volere divino! Nella parashà notiamo che da ogni angolazione in cui Bil’àm si sporgesse per vedere meglio l’accampamento di Israele e meglio maledirlo, le sue parole si tramutavano da maledizioni in benedizioni.

«Ma tovu ohalekha Ja’aqov, mishkenotekha Israel […]» – «Come sono belle le tue tende oh Giacobbe e i tuoi Santuari oh Israel […]» (Bamidbar 24;5) questa è l’ultima maledizione-benedizione che rivolge al popolo, dopodiché viene cacciato da Balaq.

I commentatori spiegano che le tende simboleggiano le scuole e i luoghi dove si studia Torà, mentre i santuari i luoghi dove si prega. Con lo studio della Torà, l’osservanza dei suoi precetti e le tefillot, ‘am Israel sopravvive ad ogni maledizione, anche quelle che avrebbe dovuto lanciare Bil’am.

 

Shabbat shalom

Rav Alberto Sermoneta

Parashat Chuqat

- Parashat CHUQAT -

Venezia Ebraica - Jewish Venice
- A cura di Rav Alberto Sermoneta -

Nella parashà di Chuqat troviamo un lungo elenco di mizvot e la narrazione di avvenimenti, soprattutto negativi, che hanno caratterizzato il comportamento del popolo durante la permanenza di quaranta anni nel deserto.
Il termine choq da cui deriva la parola chuqat, viene tradotto letteralmente legge statuto, ma in realtà deriva dal verbo le- chaqek che significa scolpire/incidere sulla pietra.
Tutto ciò che è scolpito sulla pietra non può essere facilmente cancellabile, quindi, anche questo tipo di mizvot hanno un valore eterno e servono a dimostrare il sentimento di ogni appartenente al popolo di Israele.
Infatti, se per ogni altro tipo di mizvà abbiamo il diritto di poterci interrogare sulla sua origine e sul suo significato, per i chuqim, non possiamo farci queste domande o, per meglio dire, possiamo chiedercelo ma nessuno ci confermerà la nostra ipotesi.
Essi – i chuqim – infatti, hanno lo scopo di esplicitare il legame del singolo con Hashem.
Tra gli episodi negativi ricordati nella parashà troviamo prima la morte di Miriam, sorella di Mosè ed Aaron, poi, la sentenza definitiva da parte di D-o che né Aaron né Mosè entreranno in Israele e, infine, la morte di Aaron, sostituito per volontà divina da suo figlio Ele’azar.
È narrato infine l’episodio in cui diversi Israeliti, a seguito di maldicenza, vengono infettati dal veleno di serpenti e, dopo che molti hanno fatto teshuvà, il Signore comanda a Mosè di costruire un serpente di rame e porlo nella tenda della Sacra Radunanza, cosi che coloro che fossero stati morsi da un serpente, fissando il serpente di rame, sarebbero potuti guarire.
Moltissimi commentatori hanno proposto le più svariate di interpretazioni, fra cui quella dell’antidoto al morso del serpente che si ricava dal serpente stesso; ma proprio come detto precedentemente, ci sono delle cose che non possono essere spiegate.
Una teoria è quella che, essendo il serpente posto su di una colonna molto in alto, coloro che volevano guardare il serpente dovevano, per forza di cose alzare gli occhi verso l’ alto.
Quel gesto, lo portava a guardare verso D-o che lo avrebbe, dopo la sua richiesta, guarito.
Come questo, tanti altri episodi, contenuti nella parashà, hanno un significato oscuro o complesso da interpretare, come l’acqua che scaturisce dalla roccia e disseta il popolo che si lamenta per la sete; è per questo motivo che tutto ciò rientra nella categoria di quelle regole o comportamenti chiamati chuqim.

 

Shabbat shalom

Rav Alberto Sermoneta

Parashat Shelach Lekhà

- Parashat SHELACH LEKHÀ -

Venezia Ebraica - Jewish Venice
- A cura di Rav Alberto Sermoneta -

«Manda per te degli uomini e visitino la Terra di Canaan che Io do ai figli di Israele […]» (Bamidbar 13;1).

La parashà che leggeremo questo Shabbat narra del viaggio dei “dodici esploratori” nella Terra che diverrà poi la Terra di Israele, come il Signore D-o aveva promesso di dare al popolo sin dai tempi dei Patriarchi.

L’imperativo shelach lekhà denota già da parte del Signore una posizione antitetica a quella del popolo, che pretende che qualcuno visiti la terra, prima di iniziare le guerre di conquista.
Sia Rashì che altri commentatori spiegano il termine lekhà (lett. “per te”) dicendo che è una conseguenza di «quello che tu e che il popolo avete chiesto» che Io ti ordino di mandare ad esplorare la Terra.

Il ritorno degli esploratori all’accampamento è caratterizzato da conseguenze catastrofiche: il popolo sarà punito, con una sentenza irreversibile, perché ancora una volta manifesta mancanza di fiducia in D-o. Essi rimarranno quaranta anni nel deserto, affinché  la vecchia generazione, quella uscita dall’Egitto non entri nella Terra di Israele, se non Giosuè e Calev, che furono gli unici a manifestare la volontà di conquistare quella terra, con l’aiuto incondizionato di D-o.

‘Am Israel era da poco uscito dall’Egitto, dove aveva trascorso quattrocento anni in schiavitù, a contatto diretto con una popolazione idolatra, che vedeva nelle proprie divinità solamente una forma di vano egoismo e personalizzazione voluta dai capi del popolo. Essi – gli egiziani – credevano nelle varie divinità soltanto perché obbligati dalle loro autorità, ma in esse, non riponevano fiducia alcuna.
Il popolo ebraico, per quanto avesse assistito a manifestazioni incredibili da parte del D-o unico, il quale attraverso il Suo operato aveva salvato Israele dalla schiavitù, facendolo uscire verso la libertà, aveva ancora un atteggiamento legato a quelle tradizioni.
Piangere per una cosa senza fondamento: «[…] e il popolo pianse quella notte […]» (Bemidbar 14;1) sintetizza la scarsa maturità e la poca consapevolezza nei propri mezzi del popolo, giudicati da Hashem non idonei a partecipare attivamente del progetto della conquista della terra.

Le parole di Giosuè e Calev: «è vero che è una terra abitata da giganti, è pur vero che vi sono in essa molte difficoltà per essere conquistata, ma con l’aiuto di D-o, noi riusciremo» (Bamidbar 14; 8-9) manifestano, da una parte la conferma di ciò che avevano detto gli altri dieci esploratori, dall’altra però incutevano nei cuori del popolo la fiducia necessaria, sia in se stessi, sia e soprattutto in D-o che aveva fatto una promessa storica e che, come aveva mantenuto tutte le altre, avrebbe sicuramente mantenuto anche questa.

Non a caso, secondo i commentatori, “quella notte” sarebbe la notte del 9 di Av, giorno in cui, molti secoli dopo sarebbero stati distrutti sia il primo che il secondo Bet Hamiqdash di Gerusalemme.

Shabbat shalom

Rav Alberto Sermoneta

Parashat Behaalotekhà

- Parashat BEHAALOTEKHÀ -

Venezia Ebraica - Jewish Venice
- A cura di Rav Alberto Sermoneta -

Questo Shabbat leggeremo nella parashà settimanale una serie di avvenimenti di importanza differente.

Si comincia con la mizvà del Cohen gadol di preparare la menorà alla sua accensione di tutti i giorni, continuando con quella della consacrazione dei Leviti, di Pesach shenì (l’opportunità di offrire il sacrificio pasquale un mese dopo Pesach per coloro che nella data destinata si trovavano in condizioni inadeguate all’offerta); torviamo poi le istruzioni e i preparativi da mettere in atto in guerra e della mizvà di suonare le trombe d’argento, insieme allo shofar per richiamare il popolo all’attenzione (sia di cose buone che meno buone).

Assistiamo, tuttavia, ad uno strano episodio a cui solitamente si attribuisce poca importanza; esso consiste nel fatto che due uomini del popolo – Eldad e Medad – iniziano a fare pratica di profeti in mezzo all’accampamento. Giosuè, impressionato dall’atteggiamento dei due, corre da Mosè a riferirgli ciò che sta accadendo chiedendogli di farli arrestare.
Mosè invece reagisce in modo inaspettato, con una risposta sbalorditiva. Egli, infatti, non solo rimane impassibile, ma quasi rimprovera Giosuè di essere troppo geloso per lui. Egli continua la sua risposta da grande uomo saggio, dicendo: «Magari tutto il popolo di D-o profetizzasse!!! Perché il Signore ha posto in ognuno di loro il Suo spirito» (Bamidbar 11; 29).
La circostanza è piuttosto insolita, sia per il fatto che nessuno, fino a questo momento conosce questi due uomini, sia perché non sappiamo nemmeno riguardo cosa stessero profetizzando.
Bisogna quindi interrogarsi sul senso profondo dei termini profeta e profezia.
Il navì – il profeta è colui che riporta la parola di D-o; il termine “navì” da cui deriva nevuà, profezia, è una forma passiva del verbo lavò – “venire”, quindi “riportare”.
Il profeta nella tradizione ebraica non è colui che predice il futuro, bensì colui che insegna la Torà e, attraverso l’osservanza delle regole o la sua trasgressione da parte del popolo, prospetta loro un futuro, prospero o tragico.
Tutte le mattine, appena apriamo i nostri occhi, dopo il sonno notturno, abbiamo il dovere di recitare una formula di ringraziamento al Signore, per averci ridato l’anima che appartiene a Lui e che noi custodiamo nel nostro corpo per tutta la giornata.
Quell’anima è “PURA” perché appartiene a D-o ed è per questo che ogni uomo ha anche un po’ di spirito profetico.
Magari, volesse il Cielo che ogni uomo usasse la sua anima per fare del bene al prossimo, senza danneggiarlo; ci troveremmo tutti nella condizione di benefattori come furono Eldad e Medad.

Shabbat shalom

Rav Alberto Sermoneta

I genitori di Or Le-Mishpachot in visita a Venezia

OR LE-MISHPACHOT A VENEZIA


I GENITORI DI OR LE-MISHPACHOT IN VISITA A VENEZIA

Lunedì 27 maggio la Comunità Ebraica di Venezia ha ospitato un nutrito gruppo di oltre sessanta appartenenti all’associazione israeliana Or le-Mishpachot. Dopo una visita in barca che ha toccato i punti di maggior interesse della Laguna, l’itinerario si è concluso in Ghetto con la visita della Scola Spagnola.

I partecipanti, accomunati dal lutto per i propri cari scomparsi nel corso di operazioni militari in Israele, hanno incontrato il rabbino capo, rav Alberto Sermoneta, che nel suo intervento ha manifestato la vicinanza sincera della Comunità Ebraica di Venezia e di tutte le sue componenti, a maggior ragione in questa fase così delicata e angosciante.
 
Dopo la tefillà di Minchà e la lettura della Torà, rav Tamir Granot, direttore della Yeshivà Orot Shaul di Kriyat Shalom (Tel Aviv) ha condiviso con i presenti la propria testimonianza e quella dei suoi talmidim, da diversi mesi riservisti. Nel farlo, non ha mancato di ricordare i figli caduti, offrendo passi e pensieri per rafforzare tutti coloro, che hanno conosciuto in prima persona la tragicità di un lutto di questa entità.
 
In serata la cena presso il ristorante casher Ba Ghetto prima della ripartenza.

L’antico cimitero ebraico del Lido

Presentazione Sala Montefiore


L'ANTICO CIMITERO EBRAICO AL LIDO DI VENEZIA

Domenica 12 maggio, in una Sala Montefiore gremita, è stato presentato il libro L’antico cimitero ebraico al Lido di Venezia (curato dal prof. Dario Calimani, e pubblicato qualche mese fa dalla casa editrice Sillabe, in collaborazione con Opera Laboratori Fiorentini, attuale società di gestione del Museo Ebraico di Venezia).

Il volume si propone, mediante gli interventi degli autori – Dario Calimani, Giovanni Levi, Umberto Fortis e Aldo Izzo   di ripercorrerne le vicende e l’importanza storica, offrendo al lettore nuovi spunti di approfondimento, sia cronologici, per quanto riguarda lo sviluppo del cimitero antico (fondato sul finire del 1400, affiancato successivamente da quello moderno nel tardo Settecento), che letterari. L’antico cimitero ebraico del Lido, infatti, ha svolto un ruolo cruciale nell’immaginario culturale della corrente romantica europea, dilatandosi nel tempo fino ad epoche più recenti, protagonista ricco di sfaccettature e simbolismo.
 
«L’antico cimitero ebraico del Lido diventa così un’ambientazione letteraria ideale per scene d’amore e morte, e non dimentichiamo che la maggior parte dei brani letterari scelti e individuati, si vorrebbe aggiungere – appartengono ad autori che rappresentano bene lo spirito romantico. Sembra evidente che la visione del popolo ebraico cominci a modificarsi con il Romanticismo. Il popolo ebraico, reietto ed emarginato, chiuso nei ghetti, attira la simpatia degli autori romantici, con qualche eccezione, naturalmente. Il Romanticismo sembra vedere negli ebrei una delle nazioni che hanno diritto all’affrancamento e al riconoscimento della propria umanità, come ogni altro cittadino, come ogni altro essere umano: un simbolo universale di aspirazione alla libertà e all’autodeterminazione.».

Venezia e la realtà israeliana

Vercelli prima lezione


Venezia e la realtà israeliana

Considerata la drammatica situazione politica in cui versa il Medio Oriente, la Comunità Ebraica di Venezia ha avviato attività culturali intese a far meglio conoscere la realtà della cultura e della storia di Israele. A tale fine, è iniziato un corso, tenuto dal dott. Davide Cutrì, sulla letteratura ebraica moderna e contemporanea. È poi stato avviato un ciclo di cinque lezioni curate dal prof. Claudio Vercelli, storico insigne della storia ebraica contemporanea del Novecento, europea e israeliana. Il corso, aperto alla città, intende diffondere conoscenza della storia di Israele al di fuori della Comunità per contrastare letture semplicistiche degli accadimenti in corso e invitare invece a una riflessione sulla complessità di una storia che parte da lontano.

Gli incontri prendono in esame macro-aree della storia di Israele, partendo dall’attualità e dagli accadimenti del 7 ottobre 2023, procedendo poi a ritroso, per porre l’accento, in appuntamenti successivi, sulle radici della contrapposizione tra mondo arabo, società musulmane e Stato d’Israele, sulla nascita di una comunità politica nazionale ebraica, sulle questioni di legittimazione e delegittimazione di Israele e sul dibattito linguistico, storico e politico intorno al termine ‘sionismo’.

Nel corso della prima lezione tenutasi lo scorso 9 maggio, si sono analizzati i fatti del 7-10 ottobre 2023, concentrandosi soprattutto sulla geografia del sud di Israele, della Striscia di Gaza e della penisola del Sinai. Lo studio dell’evoluzione degli equilibri politici di Gaza dal 2005 ad oggi, e della Cisgiordania degli ultimi 20 anni è stato cruciale per capire e isolare gli agenti politici attivi nel territorio in questione, ma soprattutto per definire l’origine degli attacchi brutali di inizio ottobre, così come la conseguente risposta israeliana all’aggressione.

L’afflusso di pubblico esterno – circa quaranta persone alla prima lezione – ha segnato il successo dell’iniziativa. Se si confermerà il gradimento del pubblico anche per le successive lezioni, si potrà pensare ad altre attività culturali relative alla conoscenza dell’ebraismo aperte a tutti. Del resto, la Comunità, in collaborazione con Opera Laboratori Fiorentini, sta già organizzando per il secondo anno corsi sull’ebraismo rivolti alle guide turistiche della città, e anche questo con un grande afflusso di frequentanti – circa ottanta persone.