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IL TERMINE 'GHETTO'

“È di opinion di mandarli tutti a star in Geto nuovo”: queste le parole di Marin Sanudo nei suoi Diari. La parola appare nei vecchi documenti con varie grafie: ghèto, getto, ghetto, geto, ma a indicare sempre, dopo il 1516, il luogo in cui furono rinchiusi gli ebrei. Quel “tratto di terreno chiamato il getto o il ghetto – aggiunge il Tassini, nelle sue Curiosità veneziane – era la sede delle pubbliche fonderie, ove si gettavano le bombarde” e dunque “il luogo si chiamava el getto perché c’erano più di 12 fornaci e vi si fondeva il bronzo”, testimonia il Sabellico.

Ghetto, dunque, deriverebbe dal nome dell’isola dove esistevano le antiche fonderie (iactus ramis). Questa è l’ipotesi che trova oggi i maggiori consensi tra gli studiosi. Sono state proposte, però, molte altre spiegazioni: dall’ebraico get, ‘separazione’; dal tedesco gehegt, chiuso; dall’antico francese gueat, guardia; da getto, molo, banchina, sulla quale sarebbero stati gettati, nel porto di Genova, gli ebrei profughi dalla Spagna nel 1492; dall’italiano borghetto; dall’antico inglese gatwon, strada; ma va ricordato che geto era anche il gettito-tributo, la tassa da pagare.

Non fu però solo un quartiere separato dal resto della città, una giudecca, come veniva denominato tale settore abitato spontaneamente da ebrei anche in altri territori sotto il dominio della Repubblica veneziana – sebbene a Venezia l’omonima isola non sia mai stata luogo di residenza ebraica – (in altre nazioni: Juderia in Spagna; in Francia Juiverie; in Germania Judengasse; in Inghilterra Jewry), ma una scelta imposta dallo Stato, una reclusione coatta, che per gli ebrei, tuttavia, poteva consentire allora sicurezza e stabilità.

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