“Tachel shanà uvirkoteha – Inizi l’anno con le sue benedizioni”
Questo versetto sancisce la fine di un piut – una poesia liturgica che viene recitata all’inizio della preghiera serale del Rosh ha shanà.
È un augurio che continuiamo a ripetere ormai da millenni, sperando che, l’anno che sta entrando sia migliore di quello che ci sta lasciando.
Il popolo ebraico celebra il suo capodanno, non con feste danzanti o fuochi d’artificio o suoni sfrenati ma con riunioni intime sia nella sinagoga, con austere preghiere e, l’unico suono che si possa ascoltare è quello dello shofar – un corno di montone – che scandisce l’inizio del periodo penitenziale, in cui gli ebrei fanno un serio esame di coscienza ed espiano le proprie colpe, attraverso il digiuno del giorno di Kippur.
L’altra importante riunione avviene nelle proprie abitazioni, riuniti in famiglia a festeggiare e celebrare il grande evento simboleggiato da questa giornata che è la comparsa dell’uomo sulla Terra.
Infatti, a differenza delle Tre grandi solennità, che hanno un valore esclusivamente ebraico, Rosh ha shanà e Kippur hanno un valore estremamente universale; celebrando la comparsa dell’uomo sulla Terra, mettono costui nella condizione di fare un esame e soprattutto un bilancio del proprio comportamento, ma soprattutto di guardarsi attorno per intercedere per il bene di tutti gli esseri del creato: umani e non.
Possa il Signore, Dio di ogni essere vivente, accogliere le nostre preghiere ed esaudire l’umanità attraverso la pace, l’abbondanza e di ogni nostro desiderio.
Shanà tovà umetuccà
Un buon anno pieno di dolcezze
Rav Alberto Sermoneta
Click one of our contacts below to chat on WhatsApp