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-Parashà VA JESHEV-

Venezia Ebraica - Jewish Venice
- A cura di Rav Alberto Sermoneta -

PARASHAT VA JESHEV

Nella parashà di Va Jeshev si narra la storia di Josef, figlio di Giacobbe e della donna che egli amava di più – Rachele. Nella Torà troviamo scritto, proprio nei primi versi della parashà, «Elle toledot Ja’akov Josef […]» – «Questa è la storia di Jaakov, Josef […]» (Bereshìt 37;2). L’aspettativa è quella di leggere la storia di Yaaqov/Israel. Rashì interpreta il versetto di sopra sostenendo che quanto è accaduto a Giacobbe, accadrà a Giuseppe; cioè: Giacobbe andò in esilio fuori della terra di Canaan, anche Giuseppe andrà in esilio fuori della terra di Canaan. Giacobbe era ricercato da suo fratello per essere ucciso, a causa della benedizione della primogenitura, anche Giuseppe verrà ricercato dai suoi fratelli per essere ucciso a causa della predilezione da parte di loro padre nei suoi confronti. Giacobbe visse lontano da suo padre per venti anni, anche Giuseppe visse lontano da suo padre per venti anni e così via per tante altre cose. Josef, tuttavia, non viene chiamato Av (lett. “patriarca”), bensì  tzaddik – giusto.

Lo tzaddik, secondo i commentatori ha degli oneri maggiori rispetto al patriarca; egli è colui che mette a repentaglio la sua vita per salvare il suo popolo o addirittura l’umanità. 

Secondo tutti gli esegeti, esiste un nesso ben profondo fra la festa di Chanuccà, e la parashà di va jeshev; per meglio dire c’è un nesso ben profondo fra la vita e le opere di Giuseppe e la vita e le opere dei Maccabei, eroi del popolo ebraico le cui gesta vengono celebrate proprio di Chanuccà.

Tutti noi conosciamo le gesta eroiche dei fratelli Asmonei, chiamati in seguito con l’appellativo di Maccabei per la loro forza e tenacia nel combattere il nemico. La festa di Chanuccà celebra il riordinamento di uno stato confusionario, provocato dalla cultura ellenica che pretendeva di inculcare i loro usi e tradizioni alle popolazioni da loro conquistate e quindi anche alla popolazione ebraica che viveva in terra di Israele. I Maccabei attraverso la loro ribellione a quelle tradizioni pagane, che fra l’altro tanto successo avevano riscosso anche fra alcuni ebrei (soprattutto nelle classi dei nobili), riescono a riaccendere le “luci” per far chiarezza sulle millenarie tradizioni ebraiche che venivano osservate ininterrottamente, sin dai tempi dei nostri patriarchi, ripristinando così anche il culto del monoteismo.

La loro identità ebraica, non fu mai nascosta, anche a costo di rimetterci la propria vita, allo stesso modo di quando Giuseppe venduto in Egitto – paese conosciuto da tutte le popolazioni dell’epoca per la sua dedizione proverbiale al paganesimo, sin da schiavo presso la casa del ministro Potifar, sia nella condizione di carcerato perché calunniato dalla moglie di Potifar di aver tentato di violentarla, sia da viceré d’Egitto, mai negò le sue origini e le sue tradizioni ebraiche «na’ar ‘ivrì anokhi» – «io sono un fanciullo ebreo».

Il paganesimo è il simbolo dell’ assoggettamento dell’uomo sul suo fratello, la negazione dei diritti umanitari e la supremazia di un potere sull’altro (ci basti pensare soltanto sull’istituzione dei sacrifici umani in uso presso quei popoli o all’istituzione della schiavitù), l’ebraismo ne è l’esatto opposto.

Chanuccà, potremmo definirla l’esaltazione del monoteismo e la sconfitta delle imposizioni di un uomo sul suo prossimo; se ogni popolo libero ha una sua bandiera, la bandiera del monoteismo può essere sicuramente la lampada di Chanuccà, che da mercoledì sera inizieremo ad accendere per otto sere consecutive.

 

Shabbat shalom,
Chag Chanuccà sameach,
Rav Alberto Sermoneta

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