- Parashat re'e-
Venezia Ebraica - Jewish Venice
- A cura di Rav Alberto Sermoneta -
«Guarda, Io pongo dinnanzi a voi oggi la benedizione e la maledizione» (Devarìm 11; 27).
Il signore, tramite Mosè insegna al popolo, quella che deve essere la strada da seguire.
Come un buon padre, Egli mette in guardia i propri figli in procinto di entrare in Eretz Israel.
Il verso più profondo della parashà, dice: «banim attem l-H’ Elohekhem»- «siete figli voi del Signore vostro D-o, non andate sparlando dei vostri fratelli nelle vostre città».
Essere figli di un unico padre significa essere fratelli e tra parenti non ci si può comportare con leggerezza.
Il concetto di ‘am echad (lett. “popolo unico”), viene fortemente esaltato in questa parashà; esso è tanto cruciale che i Maestri del Talmud lo elaborano con un insegnamento di verità, considerato in ogni caso il nostro inesorabile destino: «Kol Israel ‘arevim ze ba ze» – «Ogni ebreo è garante dell’altro». In ogni epoca della nostra vita il destino del nostro popolo ci accomuna e ci fa vivere proprio nelle stesse condizioni, volenti o nolenti, di un’unica famiglia.
Questa parashà viene letta sempre o quasi, a ridosso di Rosh chodesh Elul, l’ultimo mese del calendario ebraico, proprio quando iniziamo a prepararci per quei giorni in cui il nostro destino sta per essere sentenziato dall’Eterno, i jamim noraim (lett. “giorni severi”), che sono Rosh ha shanà e Jom Kippur.
Il signore, tramite Mosè insegna al popolo, quella che deve essere la strada da seguire.
Come un buon padre, Egli mette in guardia i propri figli in procinto di entrare in Eretz Israel.
Il verso più profondo della parashà, dice: «banim attem l-H’ Elohekhem»- «siete figli voi del Signore vostro D-o, non andate sparlando dei vostri fratelli nelle vostre città».
Essere figli di un unico padre significa essere fratelli e tra parenti non ci si può comportare con leggerezza.
Il concetto di ‘am echad (lett. “popolo unico”), viene fortemente esaltato in questa parashà; esso è tanto cruciale che i Maestri del Talmud lo elaborano con un insegnamento di verità, considerato in ogni caso il nostro inesorabile destino: «Kol Israel ‘arevim ze ba ze» – «Ogni ebreo è garante dell’altro». In ogni epoca della nostra vita il destino del nostro popolo ci accomuna e ci fa vivere proprio nelle stesse condizioni, volenti o nolenti, di un’unica famiglia.
Questa parashà viene letta sempre o quasi, a ridosso di Rosh chodesh Elul, l’ultimo mese del calendario ebraico, proprio quando iniziamo a prepararci per quei giorni in cui il nostro destino sta per essere sentenziato dall’Eterno, i jamim noraim (lett. “giorni severi”), che sono Rosh ha shanà e Jom Kippur.
Shabbat Shalom e Chodesh Tov,
Rav Alberto Sermoneta
Rav Alberto Sermoneta
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