La parashà che leggeremo questo Shabbat narra del viaggio dei “dodici esploratori” nella Terra che diverrà poi la Terra di Israele, come il Signore D-o aveva promesso di dare al popolo sin dai tempi dei Patriarchi.
L’imperativo shelach lekhà denota già da parte del Signore una posizione antitetica a quella del popolo, che pretende che qualcuno visiti la terra, prima di iniziare le guerre di conquista.
Sia Rashì che altri commentatori spiegano il termine lekhà (lett. “per te”) dicendo che è una conseguenza di «quello che tu e che il popolo avete chiesto» che Io ti ordino di mandare ad esplorare la Terra.
Il ritorno degli esploratori all’accampamento è caratterizzato da conseguenze catastrofiche: il popolo sarà punito, con una sentenza irreversibile, perché ancora una volta manifesta mancanza di fiducia in D-o. Essi rimarranno quaranta anni nel deserto, affinché la vecchia generazione, quella uscita dall’Egitto non entri nella Terra di Israele, se non Giosuè e Calev, che furono gli unici a manifestare la volontà di conquistare quella terra, con l’aiuto incondizionato di D-o.
‘Am Israel era da poco uscito dall’Egitto, dove aveva trascorso quattrocento anni in schiavitù, a contatto diretto con una popolazione idolatra, che vedeva nelle proprie divinità solamente una forma di vano egoismo e personalizzazione voluta dai capi del popolo. Essi – gli egiziani – credevano nelle varie divinità soltanto perché obbligati dalle loro autorità, ma in esse, non riponevano fiducia alcuna.
Il popolo ebraico, per quanto avesse assistito a manifestazioni incredibili da parte del D-o unico, il quale attraverso il Suo operato aveva salvato Israele dalla schiavitù, facendolo uscire verso la libertà, aveva ancora un atteggiamento legato a quelle tradizioni.
Piangere per una cosa senza fondamento: «[…] e il popolo pianse quella notte […]» (Bemidbar 14;1) sintetizza la scarsa maturità e la poca consapevolezza nei propri mezzi del popolo, giudicati da Hashem non idonei a partecipare attivamente del progetto della conquista della terra.
Le parole di Giosuè e Calev: «è vero che è una terra abitata da giganti, è pur vero che vi sono in essa molte difficoltà per essere conquistata, ma con l’aiuto di D-o, noi riusciremo» (Bamidbar 14; 8-9) manifestano, da una parte la conferma di ciò che avevano detto gli altri dieci esploratori, dall’altra però incutevano nei cuori del popolo la fiducia necessaria, sia in se stessi, sia e soprattutto in D-o che aveva fatto una promessa storica e che, come aveva mantenuto tutte le altre, avrebbe sicuramente mantenuto anche questa.
Non a caso, secondo i commentatori, “quella notte” sarebbe la notte del 9 di Av, giorno in cui, molti secoli dopo sarebbero stati distrutti sia il primo che il secondo Bet Hamiqdash di Gerusalemme.
Shabbat shalom
Rav Alberto Sermoneta
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