
-PARASHAT VA IKRA'-
Venezia Ebraica - Jewish Venice
- A cura di Rav Alberto Sermoneta -
Shabbat Hagadol PARASHAT ZAV
La parashà di zav è la seconda parashà del libro di Vaikrà; come la prima, quella che abbiamo letto lo scorso shabbat, continua ad enumerare i sacrifici che dovevano essere offerti nel Mishkàn. Nel descrivere il mizbeach, l’altare dove venivano bruciati i sacrifici, la Torà insegna qualcosa che, nonostante l’ormai non consueta pratica dei sacrifici, è tuttora il simbolo del nostro popolo. È scritto infatti: «Esh tamid tukad ‘al hamizbeach lo tichbè» – «Un fuoco eterno brucerà sull’altare non lo spegnerai» (Vayiqrà 6; 6). Secondo l’interpretazione letterale tutto fila regolarmente: il fuoco che ardeva sull’altare del Tempio non doveva essere mai spento. Nella Mishnà infatti, vengono descritte le mishmarot – i turni – osservati dai Cohanim per sorvegliare che il fuoco che ardeva sul mizbeach rimanesse sempre acceso. I Maestri ci spiegano che non era un fuoco vivo, ma dei grossi tronchi di legno formavano una sorta di brace ardente, sul quale venivano bruciati i sacrifici, sia animali che farinacei.
Se razionalmente questo ricorda il periodo dei sacrifici, intimamente ci insegna che il fuoco è l’eternità, quella cosa che, se alimentata costantemente non finisce mai. Parimenti, se il popolo ebraico osserverà le leggi della Torà, mettendole in pratica ed insegnandole ai propri figli, tramandando loro le millenarie tradizioni, esso sarà eterno come il fuoco del mizbeach.
Le tradizioni del nostro popolo hanno la forza di mantenerci in vita, nonostante i molteplici tentativi di annientamenti da parte dei nostri nemici, come noi, da ormai tremila anni circa, facciamo riguardo la storia della schiavitù egiziana, attraverso l’osservanza della festa di Pesach e la lettura della haggadà.
Non a caso la parashà di Zav coincide quasi sempre con il sabato che precede la festa di Pesach, che i nostri Maestri hanno denominato Shabbat ha gadol, non il sabato grande (altrimenti avrebbe dovuto essere shabbat ha ghedolà – perché il termine shabbat è femminile), ma il “Sabato del grande”, ossia del grande evento, che è quello a cui assistettero i nostri padri in Egitto, quando fu comandato loro di prepararsi all’abbandono di quel Paese, mentre i primogeniti egiziani, stavano morendo, colpiti dall’Angelo della morte.
È’ lo Shabbat in cui si trascorre più tempo in siangoga per ascoltare dal Rabbino e studiare tutte le regole che riguardano la preparazione alla festa che sta per entrare.
Una breve spiegazione riguardo l’augurio che a differenza delle altre festività, ci scambiamo prima e durante la festa: “pesach kasher ve sameach – una pesach idonea e gioiosa”. Solitamente per le altre festività ci auguriamo “chag sameach” o “mo’adim le simchà”; per pesach si sottolinea l’osservanza della kasherut. Qualcuno potrebbe chiedersi: “perché durante le altre feste la kasherut è facoltativa?”. La risposta è che la kasherut di Pesach è molto più complessa di quella delle altre festività o addirittura degli altri giorni. Per Pesach è prevista una serie di pulizie della casa, completamente diverse e assai più approfondite di quelle, seppur importanti delle altre festività o occasioni varie.
La trasgressione ai vari divieti che riguardano il cibarsi o possedere il chamez, prevede la pena più rigorosa – il caret – la pena capitale – pena proveniente direttamente da D-o, prevista soltanto per la trasgressione di pochissimi casi (fra cui il cibarsi di chamez a Pesach), considerati gravi, non solo per chi li commette, ma anche per la società che assiste a un simile comportamento.
È per questa ragione che non è sufficiente fare di propria iniziativa, ma è necessaria la collaborazione e le varie spiegazioni di una persona esperta, per non incappare nell’errore, di D-o ne guardi, di trovarsi in possesso di chamez o cosa che possa richiamarne la sua somiglianza, nel periodo della festa. Si usava nell’antichità trascorrere molte ore più del consueto, nelle varie Sinagoghe, durante questo sabato, per ascoltare e chiedere delucidazione ai Maestri, su come comportarsi correttamente nella preparazione alla festa e soprattutto per non commettere errori.
Possa il Signore renderci meritevoli di aver preparato per la festa di Pesach e per aver osservato le sue regole in modo scrupoloso e rigoroso, degni di quelle che furono le vicende che i nostri padri in Egitto vissero, con l’ideale di essere un popolo libero e degno del nome che portiamo: Israel.
Shabbat shalom e Pesach kasher ve sameach
Rav Alberto Sermoneta
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